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Per Tadeusz Baird (1928-1981) il periodo di lavoro sui Quattro Sonetti d’amore di Shakespeare per baritono e orchestra (1956) fu un attimo di pace e tranquillità. Dopo anni, il compositore ha ricordato che grazie a quel lavoro era riuscito a “riacquistare un po’ di pace ed equilibrio interiore”. Quelle rielaborazioni neoclassiche di poesie dello scrittore di Stratford, tradotte in polacco da Maciej Słomczyński, furono create quali musiche di scena per Romeo e Giulietta e pertanto divergono con il loro stile arcaizzante e la schiettezza di espressione dalla tendenza dominante delle opere di questo artista, legato all’Autunno di Varsavia (Pol.: Warszawska Jesień) (Baird fu cofondatore e protagonista di questo festival internazionale di musica d’avanguardia). Il componimento, grazie all’affinità con le musiche del Cinquecento e del Seicento, si avvicina in qualche modo alla precedente (1951) suite in vecchio stile “Colas Breugnon”, composta per un radiodramma del romanzo scritto dal premio Nobel Romain Rolland. I due componimenti incantano per la loro musicalità e l’armonia degli antichi stili con aggiunta delle sonorità novecentesche. La presente opera può essere definita come una suite con la partecipazione di un baritono o come una sorta di cantata da camera. Con la sua maestosità, la parca polifonia della parte orchestrale e l’arcaica totalità, essa ricorda le canzoni strumentali italiane del tardo Rinascimento; i ritmi danzanti rievocano la vecchia sarabanda, una pavana. L’utilizzo della recitazione melodica di clavicembalo ci riporta all’epoca di Shakespeare. La particolare bellezza del componimento si esprime attraverso l’elaborazione del testo, che oscilla tra melodeclamazione e canto lirico. Baird cambia i titoli dei sonetti di Shakespeare, dando peso al significato delle parole e creando un coeso racconto sull’amore e sull’effimerità. Nel Sonetto 23 Spójrz, co tu ciche serce wypisało… [Impara a leggere il silenzio del mio cuore …] (Andante), la calma e la prevedibilità della struttura della strofa vengono disturbate dall’incalzante episodio centrale che sembra intriso di febbrile speranza. L’energico, beffardo Sonetto 91 Drwię, mając ciebie, z całej ludzkiej pychy… [E avendo te, di ogni vanto umano io mi glorio] (Allegretto con anima) viene concluso dal compositore in modo melancolico („sfortunato solo in questo, che tu puoi togliermi ogni cosa e far di me l’essere più misero.”). Il ciclo si conclude con il Sonetto 56 Słodka miłości… [Dolce amore] (Andantino, con amore), con un finale molto espressivo ed intimo („Niech odpoczynek będzie oceanem… zwij to zimą, której mroźna szata po trzykroć każe oczekiwać lata” [ Sia questo infelice momento simile a quel mare …. O sia come l’inverno che tanto colmo di disagi, rende più prezioso e ambito l’arrivo dell’estate.]. La quarta parte, il Sonetto 97 Jakże podobna zimie jest rozłąka [Come mi è parsa inverno la mia lontananza da te] (Lento, con gran espressione) sembra un funesto epilogo („gdy ciebie nie ma, nawet ptaki milkną” [“con te lontano, anche gli uccelli sono muti”]). L’opera è famosa per la magistrale interpretazione di Andrzej Hiolski, ma ne esistono diversi arrangiamenti.

Analoga è la fonte d’ispirazione di Antiche arie e danze, il componimento più importante della „generazione Dell`Ottanta” – gruppo dei musicisti italiani nati intorno al 1880. Ottorino Respighi (1879-1936) divenne famoso per la cosiddetta “Trilogia Romana” composta da tre poemi sinfonici (Le fontane di Roma, I pini di Roma, Feste romane), che fondono elementi di impressionismo e neoromanticismo. La “Antiche arie e danze” è una raccolta di tre suite, ciascuna divisa in quattro movimenti, in cui Respighi espresse pienamente le sue qualità di musicologo, esploratore e divulgatore della musica antica; il canovaccio del ciclo si basa su brani dimenticati, principalmente opere per liuto dell’epoca della grande diffusione di questo strumento, tipico del Rinascimento. Il periodo della loro ideazione (1932) suggerisce la necessità e l’impellenza di isolarsi dai tempi moderni, segnati dal fascismo italiano, un tentativo simile al contesto della creazione di 4 Sonetti di Baird. L’ultima delle tre suite di “Antiche arie e danze” si contraddistingue dall’arrangiamento monocromatico per orchestra d’archi. La prima parte, “Italiana” (elaborazione dell’opera anonima del Cinquecento), con il suo ritmo e le frasi ripetute di otto batture, rileva il suo carattere danzante. Alla base della seconda parte, intitolata “Arie di corte. Andante cantabile” c’è un estratto del componimento del liutista e teorico di Burgundia, Jean-Baptiste Besard, che fu non solo un compositore ma anche redattore di antologie delle opere per liuto del Rinascimento e del primo Barocco. La terza parte, anonima, “Siciliana. Andantino”, introduce un’atmosfera pastorale e assomiglia alla successiva “Fantasía para un gentilhombre” di Joaquino Rodrigo. Nel finale si può intuire uno stile particolare, caratteristico per il compositore barocco Ludovico Roncalli, che compose suite e arpeggi per la chitarra spagnola. La passacaglia proviene proprio da una sua opera e si basa sulla ripetizione a oltranza di un solo motivo, tipica dei componimenti barocchi e baroccheggianti che portano questo nome.

La ripetitività e la semplicità sono due tratti distintivi di Orawa per 15 strumenti ad arco di Wojciech Kilar (1932-2013). Essa chiude “il ciclo dei Monti Tatra”, costituito da quattro parti stilisticamente coerenti, iniziato con l’innovativo “Krzesany”. In “Krzesany” (1974) il compositore abbandonò le sperimentazioni del „sonorismo” (di cui era esponente insieme a Krzysztof Penderecki e Henryk M. Górecki) orientandosi verso il minimalismo. E’ proprio alle esperienze sonoristiche di Kilar che dobbiamo la nervatura organica della minimalistica Orawa. L’orchestra d’archi è strutturata sul modello moltiplicato di un gruppo musicale folcloristico di montagna, con particolare risalto al ruolo che hanno in tali complessi i due violinisti – “prymista” e “sekundzista” [il primo e il secondo violino]. I micro – motivi a tre note sembrano essere una sorta di nucleo di una canzone che potrebbe essere creata in qualsiasi angolo del mondo. Il ritmo, danzante e minuto, tratto dalla danza dei briganti di Podhale (zbójecki), attraverso l’intensificazione delle sonorità conferisce al componimento un grande vigore. Il compositore disse riferendosi a Orawa: „in essa si realizza quello a cui aspiro per essere il Kilar migliore”, „è l’unico componimento di cui non cambierei nemmeno una nota”.

Wojciech Kilar pur essendo uno dei compositori di colonne sonore più grandi nel mondo, ne compose poche, perché non aveva voglia di perderci tempo. Scelse sempre registi che in qualche modo lo ispiravano. Apprezzava ad esempio il cinema di Francis Ford Coppola e riteneva il suo Padrino il capolavoro di tutti i tempi; non sorprende pertanto il fatto che quando Coppola volle avere per il suo Dracula la stessa musica che aveva sentito in Ziemia obiecana [Terra promessa] di Andrzej Wajda, Kilar non seppe rifiutare. Il compositore apprezzava molto anche Wajda, lo riteneva uno di quei registi che sanno dare al compositore “stimoli visuali”, attraverso “splendidi turbini” e “forti emozioni”. Il valzer di Terra promessa è un biglietto da visita del film, è proprio in quel brano che convergono il titolo della pellicola di Wajda e quello del suo archetipo letterario, scritto dal secondo premio Nobel polacco per la letteratura Władysław Reymont (1924). La magnifica partitura impressionista accresce l’atmosfera di eccitazione dei protagonisti del film, come se il loro successo economico avesse potuto garantirgli il paradiso in terra. L’arrangiamento del brano per orchestra d’archi di Agnieszka Duczmal, ne accentua la nostalgia e avvicina stilisticamente questa melodia alle serenate da salotto di Piotr Czajkowski e Mieczysław Karłowicz.

Magdalena Gajl